MAI+


a work by F. De Isabella, dramaturgy Raffaele Tori, text F. De Isabella, graphic design Marzia Dalfini, translation Mohamed Amine Bour, Ilaria Patano, advice and development Giulia Traversi, administration Chiara Fava, with the support of corpoceleste_C.C.00#, creation for FUORI! FESTIVAL - ER T Emilia Romagna Teatro



[ENG BELOW]

MAI+ nasce dall’effetto dissonante scatenato dall’incontro con un’opera d’arte e la lettura della sua narrazione. Questa incongruenza diventa pretesto per fare esercizio oppositivo nei confronti di una prassi radicata: la mistificazione di fatti ed esistenze attraverso narrazioni di qualcunǝ che non ne sia direttamente coinvoltǝ. MAI+ è un momento di contemplazione, una collezione permanente nella città, un’invenzione, un’interpretazione della realtà, un invito ad allenare immaginari possibili. Un pretesto per riappropriarsi del potere dello sguardo, dell’ascolto e dell’esposizione. Che cosa significa creare un’opera d’arte senza toccare la materia ma usando unicamente i sensi e l’esperienza? MAI+ si occupa di trovare negli spazi della città segni e composizioni casuali, che, una volta nominate, acquisiscono un potenziale valore. Ad ognuna di queste creazioni involontarie è dedicata una targa che include dettagli tecnici e una narrazione specifica, ricalcando le forme di una classica didascalia museale. Questo formato diventa un espediente per legittimare pubblicamente l’opera e per mettere al centro la percezione soggettiva. Da qui una domanda più ampia: in che misura una narrazione influisce sulla percezione e il conseguente posizionamento personale? Un catalogo accompagna il lavoro, affiancando alle descrizioni di ogni opera uno spazio vuoto, un invito alla scrittura di una visione da parte del pubblico. Cosa accadrebbe se a 50 anni di distanza qualcunǝ riprendesse in mano il catalogo della mostra? MAI+ come acronimo per un museo inventato e come esclamazione che prende posizione rispetto alla contemporaneità.

EN

MAI+ originates from the dissonance triggered by encountering an artwork and reading its narration. This discrepancy becomes a pretext for an oppositional exercise against a rooted practice: the mystification of facts and existences through the accounts of people not directly involved. MAI+ is a meditative moment, a permanent collection in the city, an invention, an interpretation of reality, an invitation to explore possible imaginations, a chance to reappropriate the power of looking, listening and exposure. What does it mean to create a work of art without any materials, using only the senses and experience? MAI+ focuses on finding spaces of the city and casual compositions that, once named, acquire a potential value. Each of these involuntary creations has a dedicated plaque that contains technical details and a specific narrative, resembling a classic museum caption. This format becomes a way to publicly legitimate the work and put subjective perception at its centre. This raises a bigger question: to what extent does narrative influence perception and the consequent personal positioning? The project is accompanied by a catalogue that puts an empty space next to the description of each work, inviting the public to write down their vision. What would happen if someone picked up the exhibition’s catalogue 50 years from now? MAI+ becomes an acronym for an invented museum and an exclamation that takes a stand in relation to contemporaneity